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    Tra futuro e tradizione: la nuova missione del veterinario

    Italiani primi in Europa per animali domestici. Secondo i dati del rapporto Assalco-Zoomark 2020, si stima che nel 2019 erano presenti in Italia 60,27 milioni di animali d’affezione, confermando un rapporto di 1 a 1 tra gli animali da compagnia e la popolazione residente in Italia (stimata a 60,36 milioni). Secondo i dati dell’Osservatorio Coop 2020, poi, sono 7,8 milioni gli italiani che, al termine della seconda fase pandemica, hanno acquistato o adottato un pet (o hanno intenzione di farlo in un prossimo futuro), a dimostrazione di come gli animali costituiscano una parte importante della vita degli italiani, soprattutto nel periodo post-covid.

    Nel 2017 le famiglie italiane hanno speso 5 miliardi di euro per la cura e il benessere dei propri animali domestici (+12,9% negli ultimi tre anni): in media 371,4 euro all’anno per ogni famiglia con animali destinati a cibo, collari, guinzagli, gabbie, lettiere, toeletta, cure veterinarie. I medici veterinari hanno visto nell’ultimo biennio un aumento considerevole degli animali di affezione portati a visita. Questo fenomeno è da ricollegarsi anche all’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus e al conseguente isolamento sociale che ha portato, spesso, all’adozione di animali di famiglia in grado di colmare quel vuoto causato dall’isolamento e dalla chiusura.

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    L’animale da compagnia si è trasformato in vero e proprio membro della famiglia

    Questo fenomeno sociale ha destato non poche preoccupazioni sul rischio di abbandono di quegli animali adottati una volta terminata l’emergenza sanitaria. Fortunatamente, i segnali non vanno in questa direzione perché è cresciuta sia la cultura delle persone in genere sia la considerazione che le stesse hanno nei confronti dei pet che non rappresentano dei semplici tappabuchi emotivi, bensì dei veri e propri accentratori di affetti e attenzioni.

    Secondo l’ultimo censimento realizzato dall’Associazione nazionale medici veterinari italiani, in Italia sono oggi presenti oltre 8 mila strutture veterinarie, delle quali circa 8 su 10 sono strutture di piccole dimensioni e solo in misura residua cliniche e ospedali, capaci di offrire servizi completi e specialistici che il mercato oggi richiede. Inoltre, il settore veterinario vanta un aumento considerevole di donne che si approcciano alla professione. Sono oltre 33.300 i medici veterinari in Italia e il 46,5% di questi sono donne (10 anni fa erano il 37.4%), contro il 53.5% della controparte maschile. Una professione sempre più in rosa.

    La missione del veterinario nella società post-covid

    Cosa pensa il cittadino di questa figura? Secondo i dati del Censis il 35,3% degli italiani ritiene che il medico veterinario svolga un lavoro utile e il 28,5% lo definisce “professionale”. È “complesso” per il 13,8% e “affascinante” per il 12,1%. I giudizi negativi sono trascurabili: è un lavoro manuale per il 3,9%, sporco per il 3,0%, pericoloso per l’1,9% e ripetitivo per l’1,6%.

    La buona reputazione è confermata dal fatto che il 63,3% degli italiani incoraggerebbe un giovane che volesse studiare medicina veterinaria all’università. L’81,1% degli italiani ritiene che sia molto importante fare controlli igienico-sanitari negli allevamenti. Il 75,1% attribuisce la massima rilevanza ai controlli di qualità negli stabilimenti di produzione e trasformazione degli alimenti di origine animale. Per il 71,1% è prioritaria la protezione degli animali in via di estinzione. E per il 64,1% è molto importante garantire la salute degli animali da compagnia. Sono tutte attività svolte dai medici veterinari, anche se a volte non c’è una piena consapevolezza sul ruolo svolto nella filiera della sicurezza alimentare e nella salvaguardia dell’ambiente. Il veterinario è ritenuto un professionista garante della salute umana, animale e ambientale.

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    Valore “umano” e valore “economico”: il rovescio della medaglia

    Nell’immaginario collettivo spesso prevale la visione del veterinario come fosse un missionario e non un professionista, un animalista appassionato e non un medico che opera per la salute e il benessere della collettività. E la percezione positiva non si traduce in un adeguato riconoscimento economico. A cinque anni dalla laurea i medici odontoiatri guadagnano in media 2.131 euro netti al mese, i medici chirurghi 1.820 euro, i medici veterinari solo 1.271 euro: il 40% in meno dei medici odontoiatri e il 30% in meno dei medici chirurghi. Gli studi veterinari, inoltre, dichiarano un reddito medio d’impresa o di lavoro autonomo di 21.160 euro all’anno, contro i 51.740 euro degli studi odontoiatri (il 59% in più) e i 65.870 euro degli studi medici (il 68% in più).

    Nonostante il veterinario sia quindi riconosciuto a tutti gli effetti come una figura centrale nella quotidianità, assegnandogli un valore sociale elevato, non c’è una corrispondenza monetaria a questo: il veterinario vale molto di più di quanto guadagna. Si tratta quindi di un potenziale inespresso, un’anomalia del mercato da risolvere attraverso l’evoluzione e la maturazione del comparto professionale. Una questione culturale.

    Negli anni l’approccio ai nostri animali domestici è cambiato. Molti anni fa sarebbe stato impensabile fare una risonanza magnetica o un trattamento fisioterapico a un animale domestico. Ora, invece, viene considerato a tutti gli effetti un membro della famiglia e vengono dedicate a loro le stesse cure che verrebbero destinate ad una persona. Cambiando la cultura, quindi, cambiano le esigenze. Cambiando le esigenze, il veterinario deve tendere al futuro e all’innovazione tecnologica con decisione.